A distanza di quasi un anno dalla tragica scomparsa di Nunzio Santorsola, l’imprenditore agricolo con l’hobby della pesca sportiva deceduto nelle acque dello Jonio lucano il 10 ottobre 2016, non sono ancora noti gli esiti di alcuni aspetti dell’indagine tuttora in corso presso la procura di Matera (a seguire il fascicolo il magistrato Rosanna Defraia) su cui la famiglia Santorsola insiste ormai da tempo.
Alcuni resti mortali dello spinner 38 enne furono ritrovati lo scorso 16 marzo nella rete del peschereccio calabrese “Nicola Andrea” mentre navigava in acque lucane. Il test del dna su quel cranio scheletrizzato ne permise l’identificazione a luglio scorso nell’ambito di un’inchiesta aperta e chiusa dalla procura di Castrovillari, chiamata in causa per competenza territoriale rispetto al porto di appartenenza del peschereccio che fece il ritrovamento.
La competenza sulla scomparsa di Nunzio è invece in capo a Matera. Sin dalle prime battute la famiglia Santorsola, attraverso il legale Antonio Masiello, oltre ad una serie di memorie, aveva presentato due richieste specifiche: i tabulati telefonici del 10 ottobre 2016 con tracciamento in mare delle chiamate in entrata ed in uscita del telefonino di Nunzio, scomparso da bordo assieme a due canne da pesca, e la perizia sulla barca, poi svolta a dicembre scorso presso la sede dei Carabinieri di Policoro con rilievi effettuati dalla Polizia scientifica ed inviati, per l’esito, ai Ris a Roma. Da allora, tuttavia, nulla si sa dei risultati di questo particolare tipo di analisi, chiesto soprattutto per cercare l’eventuale presenza di tracce ematiche sul piccolo natante, tutt’ora sotto sequestro presso il porto di Marinagri a Policoro. Nessuna risposta anche riguardo alla richiesta di tabulati, utili a stabilire fino a che ora sia rimasto acceso il il cellulare di Nunzio, quali celle abbia agganciato prima che la barca venisse ritrovata di notte al largo di Policoro e quali utenze abbia incrociato.
“Chiediamo risposte e certezze - continua a dire Salvatore Santorsola, fratello di Nunzio - così da poter far piena luce su quanto accaduto quel 10 ottobre. Aver messo un punto fermo attraverso l’identificazione del corpo di mio fratello - aggiunge - è sicuramente un passo avanti importante, ma questo non ha nulla a che vedere con la ricerca della verità su quanto accaduto nel giorno della sua scomparsa in mare”.
Da allora la famiglia ha posto diversi interrogativi sollecitando una ricostruzione completa dell’accaduto senza tralasciare alcuna ipotesi, perché in mare, quel giorno, c’erano altre imbarcazioni da cui qualcuno avrebbe potuto vedere qualcosa; perchè è strano che siano sparite due canne da pesca oltre al telefono, mentre il borsello in cui di solito l’uomo lo riponeva è stato ritrovato a bordo; perché il ritrovamento di parte del cranio è avvenuto in una zona che sembra corrispondere con il punto della scomparsa, un tratto battuto in lungo ed in largo durante le ricerche da cielo e mare senza tuttavia restituire una sola traccia nei giorni successivi al 10 ottobre scorso.
C’è poi un altro particolare non emerso finora e sul quale la famiglia richiama l’attenzione: a bordo, la notte del ritrovamento, era presente una grosso preda da spinning, per combattere la quale l’angler è solito indossare una cintura da combattimento, ritrovata regolarmente in barca, oppure, nel caso di Nunzio, un asciugamano intorno alla vita, ugualmente ritrovato sul mezzo nautico, riposto in maniera ordinata e privo di presenze ematiche tanto da non essere nemmeno stato preso in carico dalla scientifica. Certo è pure possibile combattere una preda senza supporti, ma l’azione di pesca risulta particolarmente scomoda e dolorosa. Di qui l’ennesimo interrogativo, questa volta sulle modalità di pesca di quella preda, che va ad aggiungersi ai tanti aspetti ancora non fugati di una tragedia sui cui coni d’ombra la famiglia Santorsola continua a chiedere risposte.
Roberto D'Alessandro
pubblicato su Il Quotidiano del Sud