E sembra realizzarsi appieno la profezia felice della poesia “eternatrice di bellezza”, ma anche compagna fedele e sicura nel corso dell’esistenza, con la difficoltà implicita della composizione nel tentativo di superarsi sempre fino a raggiungere il “primo verso dono degli dei”.
Si tratta di un poetare che accarezza l’orecchio e, gradualmente e con delicatezza, penetra nell’anima senza radicamenti per la volontà dell’autrice di non risultare eccessiva o invasiva e di saper, all’occorrenza, per naturale ritrosia, fare un passo indietro salvo poi a ritornare a riprendere il cammino, mantenendo sempre quella leggerezza che affida al vento, nelle sue mille forme, perché possa intrecciare la gradita sintonia, senza mai abbandonare il sogno, l’illusione, la magia di certe condizioni, la dolcezza delle situazioni, sia con rimando a qualche dato di concretezza, sia nel recupero, per memoria, come nel richiamo al padre e alla madre.
Di qui il rimando a condizioni di incanto da chiedere, nella inspiegabilità dell’essenza del vivere; di qui ancora il senso di
Qualcosa di magico
nella mia terra
che sa di nuovo
e che suona indirettamente come un rimando pascoliano a “C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole / anzi d’antico”; di qui poi il non dichiarato rimpianto di
Una vecchia signora
col viso cereo
di carta impecorita
reso anche più vero nella chiusa:
così allegra e senza nostalgie
aspettava Godot;
laddove l’attesa è nulla e sembra andare finanche oltre le “calendae” e quindi non si carica di un benché minimo filo di speranza; di qui infine (ma l’elenco potrebbe continuare) “il verde degli olmi”sul quale magistralmente “si incastra l’autunno.”
Ci sono passaggi che si realizzano con morbidezza di forme in una lingua che, come scrive Franco Trifuoggi, risulta “elegante e raffinata, non aliena da stilemi classicheggianti” eppure capace di abbassarsi fino a rasentare la denotatività e la referenzialità, salvo poi a riprendersi e ad innalzarsi e farsi connotativa su una linea di ermetismo ritornante, che non delimita il territorio poetico, e sempre accompagnato da una sorta di sogno affidato alla forza del vento capace di leggere
gradita sintonia.
E non mi pare abbia torto Francesca Amendola quando sostiene che “la forza del vento è metafora della rinascita dopo la sofferenza, il pianto, la solitudine”
Non a caso, dunque, il vento è il motivo dominante e ritornante, quasi il filo d’Arianna, il nucleo capace di agganciare sensazioni, sentimenti, emozioni, ricordi.
Contro ogni destino
vincolavi anche il vento.
Si apre così l’ampia campionatura delle varie voci del vento nelle sue diverse manifestazioni e sfaccettature ora con
improvviso battito
quasi a sottolineare l’aspetto umanizzante dello stesso,
ora
nell’assillo
della vampa del vento
capace di penetrare e di lasciare, indelebile, il segno, ma anche di mantenere e custodire segreti,se è vero che, come scrive la poetessa,
Quando io più non ci sarò
cercate nel vento
il soffio lieve della mia carezza..
che è quasi un affidarsi ciecamente ad esso.
Si tratta di vento, in questo caso, amico e confidente ultimo, che riceve segreto senza fare domande e che nel suo essere e non essere,, resta sempre misterioso e dunque tale da affascinare l’autrice alla quale tutto finisce per apparire stabile, non ostante le diversità dei limiti,
Se pur nel vento…
che, in altre situazioni e condizioni, impone il suo fascino che obbliga finanche il cane
un pechinese dal pelo d’oro scuro
che
corre nel vento
che sa mutare continuamente voce.
E sempre il vento sembra farla da padrone al punto che
Quasi lucerna al vento
tremula l’anima spenta,
prima di riprendere con più forza e a determinazione
Folle la pioggia giù
dal vento al ramo
e fino al punto da far desiderare la quiete e da costringere a dover proteggere i fiori dalla sua prepotenza.
Accade cosi che forse
Non sa leggere
e
coglie i fiori più belli
e, forse, ignaro
non semina diamanti
ma sogni di cristallo
E allora la chiusa non può essere che positiva, dopo il lungo tempo dell’attesa:
E allora forse, il vento leggerà
E, come per il vento interessante sarebbe ripercorrere la linea del tempo pure ritornate con insistenza, o quella dei fiori, dalla mimosa,
di me significante
padre
alla rosa che
dimora in casa mia,
alla
campanula di pianta rampicante
o alla
edera tuffata contro il sole.
Mario Santoro
Critico Letterario