24Aprile2024

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Studio shock: i giovani non sanno distinguere le notizie vere sui social

Tutti sui social, ma restano in troppi quelli che non sanno usarli. Ed il dato si fa sorprendente soprattutto se si parla di giovani. Uno studio dell’Università di Stanford lancia l’allarme sulla capacità dei teenager di orientarsi sui social. La maggior parte di loro, addirittura, non è in grado di distinguere una notizia vera da una falsa sui social e tende a credere anche a quelle postate da inserzionisti pubblicitari. Il rapporto, pubblicato sul sito della Stanford, è basato su quasi ottomila studenti delle superiori e dei primi anni di università. L'autore principale, Sam Wineburg, spiega che lo studio era focalizzato su la capacità di analizzare le news lette sui siti, sui 'feed' di Twitter e Facebook, sui commenti dei lettori di forum ma anche su post e foto di blog privati.
Dalla ricerca è emerso ad esempio che l'82% degli studenti non è in grado di distinguere tra una vera notizia e un contenuto sponsorizzato, mentre il 40% ha legato automaticamente una foto di un cerbiatto con malformazioni a una notizia su Fukushima, anche se nell'immagine non c'era nessun accenno a dove fosse stata scattata.
Più di due terzi degli intervistati non ha trovato nessun motivo di dubitare di un post scritto da un dirigente bancario che affermava che i giovani hanno bisogno di piani finanziari, mentre solo un quarto del campione è stato in grado di distinguere il vero profilo Facebook di Fox News da uno fittizio.
"Molte persone pensano che poiché i giovani sanno usare i social media sono egualmente bravi a giudicare quello che c'è scritto - afferma Wineburg - ma il nostro lavoro mostra che la realtà è opposta". Il dato, sorprendente e preoccupante, trova riscontro nella quotidianità di utilizzo dei social. E’ frequente, infatti, incappare in post e condivisioni di notizie diffuse dai siti di bufale alle quali schiere di utenti continuano ad abboccare sistematicamente senza alcuna capacità di fare una valutazione critica dei contenuti postati o di attivare quei meccanismi di verifica che permetterebbero di non passare per i polli di turno. Quando poi il fenomeno riguarda i nativi digitali - chissà quali percentuali avrebbe fatto emergere una ricerca effettuata sugli adulti - si comprende bene quanto il fenomeno sia diffuso, con numeri davvero imbarazzanti stando alla ricerca della prestigiosa Università californiana.