25Aprile2024

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Alessandro Vena, l’interprete raffinato dei compositori Rota e Pirrone

Il maestro Alessandro Vena, omaggiando autori come Nino Rota e Antonio Pirrone, mostra grande attenzione al dettaglio, dimostrando versatilità nel sentirsi a suo agio dinnanzi a stili profondamente diversi. Da un Rota bizzoso e sempre in cerca di un centro di gravità al più solido Pirrone. Le incisioni di Vena, per la Sheva Collection, coprono un vasto repertorio che spazia dal Barocco al Novecento
Non v'è dubbio che il compositore Nino Rota (1911-1979) sia da annoverare tra le firme più autorevoli e prolifiche della storia del cinema italiano. In un lungo periodo cui neppure il secondo conflitto bellico impone una sosta e che si spinge fino alle propaggini ultime della sua esistenza terrena, oltre centocinquanta sono i contributi dell'instancabile maestro della settima arte. Due gli estremi paradigmatici: Le miserie del signor Travet (1942) di Mario Soldati e Prova d'orchestra (del 1978) dell'eterno mentore Federico Fellini. Egli è, però, anche autore di una produzione classica tanto eclettica quanto originale, grazie ad una inusitata capacità di rielaborazione dell'idea. Rota guarda alla lezione impressionista di Claude Debussy e Maurice Ravel, senza disdegnare certi aspetti dell'oggettività espressiva del "Gruppo dei Sei", quali la scanzonata piacevolezza di Georges Auric e la verve e l'inventiva di Francis Poulenc. È proprio da questo coacervo di esperienze e suggestioni che nascono i 15 Preludi per pianoforte, scritti nel 1964 assieme al Concerto per archi. Brani non facili, ad un ascolto sommario i Preludi possono persino disorientare. Entrati di diritto nel catalogo delle opere colte di Rota, pure sembrano non vivere dell'unicità della loro sostanza, segnati da una tendenza insistita alla rarefazione tematica e da un eloquio asimmetrico che paiono obbedire più alle istanze del linguaggio per immagini che di quello musicale. Il loro "perché" semplicemente esiste ma sembra essere altrove e proprio Nino Rota ce ne lascia una lettura tutta protesa alla ricerca di quel quid in una dimensione extramusicale.
Un opposto percorso segue invece Alessandro Vena – in questa sua nuova fatica discografica -, nell'andare al recupero delle ragioni intrinseche del testo, che appare adesso finalmente bastevole a sé. Interprete raffinato e accorto, non si lascia sedurre dagli aspetti mondani di una notazione che, in quanto volubile, è anche assai insidiosa. I toni dello stravagante, del caricaturale, del claunesco, cari a Rota (e Fellini), sono così fatti decantare e poi passati al filtro della tradizione classica del Novecento. Esemplare, in un virtuale confronto fra questa incisione e quella del 1965 dell'autore, è il modo in cui Vena ne stempera certi isterismi, quasi da rullo di pianola, specie nei Preludi n. 7 e 12. Ricorrendo poi a un peculiare staccato pianistico e talune sottolineature ritmiche, nel n. 3 Vena richiama con grande intuito i modi espressivi del russo Shostakovich, anch'egli avvezzo all'ironia in musica.
Il maestro è, però, anche artista dotato di una timbrica generosa e rotonda, e di questa si serve per accarezzare le pagine forse più preziose dell'intera raccolta. L'inquietante e marmoreo Preludio n. 8, che disegna idealmente uno scenario notturno di foschia fra le tombe. Il n. 6, eloquente come un racconto e che incede sospinto dagli accordi arpeggiati alla mano sinistra. Di bellezza sublime, poi, nelle armonie modali della sua evanescente coda che a poco a poco si scolora. Il Preludio n. 13, di una mestizia sfuggente nella continua mutevolezza della sua scrittura, specie nella ripresa tematica punteggiata sapientemente dal controcanto interno al muoversi del basso. Ad Alessandro Vena sono anche dedicati Children prelude e Quid nugarum, due dei 4 Pezzi per pianoforte di Antonino Pirrone (Dies autem, Quaerendo et inveniendo gli altri) presenti nel cd. Nel secondo, eseguito da Vena in prima assoluta a Palermo e poi Buenos Aires, i riferimenti vanno a Catullo, Orazio ed alle "facezie" dei poeti neoterici. Brevi componimenti, leggeri nei contenuti ma elaborati nella forma che anela stilisticamente alla perfezione. Tuttavia, l'accento è qui posto non sulla presunta levità dell'argomento quanto sul carattere fortemente individuale delle nugae. Pirrone è difatti autore colto e animato da una fede profonda, ma vissuta con intimo pudore.
Non a caso – complice il bel suono di Alessandro Vena – il Quid nugarum prende corpo in punta di piedi, da un pianissimo impercettibile nella zona sopracuta della tastiera, su figurazioni lunghe e coronate, poi sempre più strette, e un bordone di pedale che raccoglie magiche vibrazioni. Da un incipit senza misura – che allude forse alla libertà espressiva di un ideale rapsodo – si snoda un malinconico canto che, sfuggito al silenzio, nel silenzio si annulla adagiandosi come su un muto punto di domanda. La stessa simbologia sottile pervade Children prelude. Il brano esordisce difatti con un proemio che pare più una chiusa, nel suo insistere – tra il piano e il pianissimo in allargando – su un unico accordo arpeggiato in tonalità d'impianto. È come se l'autore portasse a termine il filo di una narrazione già iniziata e legata al suo vissuto per incamminarsi da lì sul sentiero della propria elaborazione "in musica" della stessa. Ne segue una figurazione tematica che ricorda, nel quieto incedere, la voce sommessa de Il poeta parla, ultimo quadro delle Scene infantili di Schumann. Non è dato sapere se sia fortuito il comune riferimento alla fanciullezza. Lo sviluppo, con il tema riproposto su un disteso disegno di quartine di semicrome, ha qui il sapore dello sguardo benevolo di una presenza silenziosa.
Alessandro Vena mette bene in risalto sia la solarità di un mi maggiore che si conserva in chiave sino alla fine, che gli episodi modulanti in minore sempre più fitti. E quando le fosche nubi ormai incombono minacciose, fa capolino all'orizzonte – nella rassicurante tonalità iniziale – un raggio di luce. La stessa visione salvifica, che è parte peculiare della filosofia esistenziale di Pirrone, dà vita a Dies autem, ispirato ad un versetto della Lettera ai Romani: "Nox praecessit, dies autem appropinquavit (La notte è inoltrata e il giorno si avvicina, ndr)". La scrittura – moderna, in quella sua polverizzazione della linea melodica che coglie qualche affinità con la poetica di Nino Rota – è tutta costruita sull'intervallo di settima, utilizzato come lontana consonanza e sulla valenza simbolica del numero "7" inteso, soprattutto, come espressione di ricerca spirituale. Una concezione fideistica che torna a chiudere il cerchio nella pagina ambiziosa di Quaerendo et inveniendo. Si desta qui l'eco lontana di un corale di Anton Bruckner la cui progressione al basso è ingegnosamente adoperata come ostinato che sorregge le variazioni tematiche a seguire. Invero, si ode – a nostro avviso – nel tratto degli ampi accordi arpeggiati della sezione di mezzo la sacralità di certo Cesar Franck. Un plauso, in breve, al maestro Alessandro Vena per l'attenzione al dettaglio e la versatilità dimostrata nel sentirsi a suo agio dinnanzi a stili profondamente diversi; da un Rota bizzoso e sempre in cerca di un centro di gravità al più solido Pirrone. Un elogio, però, anche a quest'ultimo, che in una scrittura garbata ma di mirabile coesione interna – non semplice da trascendere – ha saputo riporre la compostezza, la gioiosa speranza e la devozione di un uomo dal credo incrollabile.
Dopo gli studi di pianoforte, clavicembalo e didattica del pianoforte, Alessandro Vena si perfeziona presso l'Accademia "Rubinstein" di Roma con Carlo Grante e Sasha Bajcic (docente al Conservatorio di Mosca). Inizia un'acclamata carriera concertistica internazionale che lo vede esibirsi in Italia, Svizzera, Germania, Macedonia, Uruguay, Argentina (Teatro "Colon" di Buenos Aires), Stati Uniti. Le sue incisioni per la Sheva Collection coprono un vasto repertorio che spazia dal Barocco al Novecento; da Bach e Scarlatti a Mozart, Chopin, Liszt, Franck, Debussy, Busoni-Bach (di cui ha intrapreso la registrazione dell'opera omnia). L'ultima – dedicata a Schumann – viene salutata con le "cinque stelle" dalla rivista di settore Piano Solo. Vena è insignito nel 2010 del prestigioso riconoscimento "Una vita per la musica", mentre ai suoi lavori dedica ampio spazio Radio Rai 3. Il periodico Musica, il più importante sulla discografica classica internazionale, così elogia le sue doti di interprete: "Alessandro Vena in questo cd fa scendere dal piedistallo della storia sia Bach sia Busoni, risultando convincente sul piano virtuosistico e stilitico".
Dopo la Maturità Classica e i Diplomi in Canto e Strumentazione per Banda, Antonino Pirrone completa la sua formazione con Salvatore Sciarrino e Franco Donatoni. Inizia negli anni '80 una intensa e poliedrica attività artistica che lo vede, fra l'altro, dirigere l'Orchestra d'Archi "Francesco Cilea" del Conservatorio di Reggio Calabria, la Serva Padrona di Pergolesi e collaborare con Melo Freni, come assistente musicale alla regia di Boheme di Puccini e Cavalleria Rusticana di Mascagni. Nel biennio 1995-96 è nominato direttore artistico dei rinomati Corsi Estivi di Fiumara d'Arte. È oggi Docente di Teorie e Tecniche dell'Armonia presso il Conservatorio "A. Corelli" di Messina. Molte le esecuzioni dei suoi lavori per enti, associazioni e festival di prestigio: Encuentro Internacional de Guitarra Ciudad de Linares "A. Segovia" (Spagna), Conservatorio Profesional de Musica de Linares, Museo della Magna Grecia di Reggio Calabria, Festival Internazionale della Chitarra di Siracusa, Accademia Ipponiana, Museo di Roma in Trastevere, Centro Cultural "P. Picasso" di Torremolinos (Spagna).
La pianista Maria Pizzuto presenta in prima assoluta nel 2011 a Messina il Dies Autem di cui è dedicataria. Nel 2015, in occasione del centenario della morte di A. Skrjabin, Violetta Egorova esegue – su commissione della Filarmonica Laudamo di Messina – i suoi Quid nugarum, Dies autem, Quaerendo et inveniendo e Onda di suoni e amore (a lei dedicato). La stessa Egorova esegue a Mosca il suo Sol di un canto senza parole, mentre Alessandro Vena propone alcuni dei Poemetti di Pirrone (di recente pubblicati per Nicolò Edizioni) presso la Casa Menotti al XVII Festival Pianistico di Spoleto, il Teatro "Colon" e l'Ambasciata Italiana di Buonos Aires, il Teatro "Kino Babylon" di Berlino e poi New York. Antonino Pirrone coniuga nelle sue opere un'intima spiritualità con un linguaggio denso di simbolismi (ma aperto al moderno) e in una forma che aspira all'essenzialità del classico.

Demetrio Nunnari
pubblicato su lavocedinewyork.com