Orgoglio Antico riceva la recensione di Francesca Amendola

Orgoglio Antico, di Amalia Marmo per la Osanna Edizioni, è una saga familiare ambientata in un paese lucano, Miglionico, nel quale l’autrice fa rivivere tre generazioni di figure femminili: la nonna Amalia, di cui l’autrice porta il nome,  la zia Paolina, morta prematuramente, Angiolina e il suo amore per un giovane medico. Ad Amalia appartiene la voce narrante; è lei a dipanare i fili della storia, ricostruendo l’affresco del paese tra  vicoli e piazzette e di un mondo antico contadino ma felice.  Per l’autrice è vero l’assioma che non si può capire il presente se non si conosce il passato. È questo il senso della vicenda che la Marmo ricostruisce con uno stile denso e soggettivo, calibrato sulla parola dotta, trasponendo al lavoro di romanziere quello di poeta in un perfetto disegno d’insieme. La realtà s’intreccia con la fantasia, i ricordi assumono i colori dei sogni, i fantasmi entrano nella storia e la vivacizzano.
Un lirismo d’altri tempi caratterizza il romanzo, nel quale si intrecciano, a nostro avviso, due storie che si avvicendano e si completano: la casa della nonna «di nobile casato, dai capelli neri come una spagnola», dove vive un’infanzia dorata e la storia di Angiolina, donna formosa e dalla «femminilità materna». Gli avvenimenti vengono prima filtrati e interpretati attraverso gli occhi di nonna Amalia, che l’autrice ricorda vestita sempre di nero, «da quando due lutti avevano segnato  la sua non facile vita: per mio nonno, scrive,  e una figlia quattordicenne»  e nella seconda parte da Angiolina.  Si cala nei personaggi, ne intreccia i pensieri, le ansie e le emozioni e ne trae ‘una storia del cuore’. 
Le immagini di Miglionico,  pieno «di alberi  di ulivi e d’argento che si dondolavano come onde di mare»,  e della campagna sul Basento con le «siepi di croton e di melograno selvatico» e le «vallate sterminate,  i greti pietrosi dei torrenti asciutti» emergono vive nella narrazione, descritte con immediatezza da chi le porta impresse indelebilmente nella memoria. Nel paese, come in un medaglione d’altri tempi, è incisa l’immagine di nonna Amalia, che vive la quotidianità dei suoi contadini , senza porre distanze sociali, senza prevaricazioni.  Eppure la nonna. devastata da un grande dolore, la morte della figlia Paolina, assimilata alla bambola «antica grande, con i riccioli d’oro» che  custodiva come reliquia in un armadio, non si piega su se stessa ma decisa e saggia continua a essere il fulcro della famiglia e della comunità.
L’importanza delle presenze femminili nel romanzo la porta  a un recupero antropologico di miti, riti, usanze, credenze del paese, che sono proprie del popolo; un substrato del quale tener conto per comprendere la storia, che e per atmosfere e per temi richiama la grande letteratura russa  (Dostoevskij) e italiana dell’Ottocento.
Con finezza penetra nei labirinti oscuri della coscienza e ne incarna il contrasto tra le costruzioni dell’intelligenza e la forza dei sentimenti. Rivive nelle pagine il rito delle prefiche, fino a qualche anno fa ancora in uso nella cultura contadina, che piangevano il nonno morto con «lamenti “veri”, delicate nenie di dolore, sentite col cuore»,  perché erano  cresciute in casa fin dalla piccola età, ci comunica. Amalia racconta la provincia,  ne descrive i fatti con cura.
I ricordi dell’io narrante sono meravigliosi, avvolti dall’incanto dell’infanzia, e raccontati secondo la cronologia, che serve a chiarire i momenti fondamentali della propria esistenza. Le reminiscenze si susseguono e  ritrova  nella scrittura con nostalgia e meraviglia quello che ha vissuto. Si comprende che quel tempo,  in cui le emozioni  erano fonte di crescita e di conquista, è stata un’esperienza unica e irripetibile.
 
 

Francesca Amendola
Antropologa – critico letterario""

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