18Aprile2024

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Quando la dipendenza dal gioco diventa una patologia

Turisti per sempre?

La “quasi-vincita”, la “fallacia di Montecarlo”, la “sopravvalutazione”, la “rincorsa”, la “grossa vincita”. Sono solo alcuni dei “meccanismi” che rinforzano nel giocatore la voglia di “puntare” denaro. E spesso perderlo... Viaggio nei nuovi mondi della scommessa

di Andrea Spartaco

Ah! La lotteria, se vincessi! Nella vita capita a tutti un giorno in cui pensiamo alla possibilità di stare da un'altra parte, in qualche altro luogo, in pace, sereni. È il nostro paradiso personale. Basta un istante, e per una specie di sortilegio dell'immaginazione veniamo proiettati anni luce dalla realtà che abitualmente viviamo. In un non nulla sguazziamo dentro acque cristalline, tra pesci coloratissimi o magari siamo in cima a una montagna, nel più totale dei silenzi. Ecco, si può prendere questo “gioco della mente”, dargli un nome, e con un'ottima strategia comunicativa (tra i fattori di sviluppo della dipendenza al gioco), trasformarlo in una realtà “commerciabile”.

Un gratta e vinci per esempio: “Turista per sempre”. 
Naturalmente “Turista per sempre”, in quanto realtà commerciabile, è pienamente devota alle leggi dell'advertising.  E a essere pubblicizzata è proprio una delle “funzioni” che sviluppano la dipendenza da gioco d'azzardo (legale e non): il sogno di cambiare vita. Una vita nuova, diversa, particolare: la “vacanza a vita”.
Quale impatto sociale, e quali gli effetti sulla percezione della realtà di questo tipo di comunicazione pubblicitaria? Come da manuale, e prima di tutto, “destruttura” l'ordine sociale a cui siamo abituati a vivere – fatto spesso di problemi che il gioco porta a dimenticare – e struttura “nuovi mondi”, paradisi appunto, tra cui scegliere per immergerci quotidianamente ogni volta che giochiamo, anche se alla fine ci ritroviamo sempre nello stesso mondo da cui siamo partiti, spesso peggiorato perché abbiamo perso soldi. Nella dipendenza da “gioco d'azzardo” (video-poker, giochi on-line, lotterie, ecc), quello che manda sul lastrico intere famiglie, che può portare chi ne è dentro fino a una vita di comportamenti ossessivo-compulsivi verso una macchinetta o un gratta e vinci, ad abbandonare figli, famiglie, o magari la scuola se si tratta di ragazzi, è proprio questo “trucco teleologico” che è una funzione prima delle “comunicazioni di massa”. In greco telos indicava un “fine”. In sostanza in ogni “processo”, dunque anche in quello comunicativo, esiste un progetto, uno scopo che lo sottende. Le tecnologie della comunicazione, secondo Marshall McLuhan, non sono altro che estensioni della coscienza umana, e in quanto tali fanno si che i media trasformino la nostra percezione della realtà. È una questione importante questa, perché quando parliamo di pubblicità parliamo di “agire comunicativo” e non di “comunicazione”. La comunicazione, sosteneva il filosofo Jürgen Habermas, ha come funzione di base “essere rivolta al raggiungimento di un'intesa” tra soggetti attraverso l'interlocuzione, la funzione dell'agire comunicativo implica invece che “chi fa la comunicazione” abbia “obiettivi e fini individuali”, abbia un “piano d'azione”, e soprattutto una “pianificazione rivolta al consenso”. Al di là del target, come direbbero le moderne strategie di marketing mass-mediatico, a cui si rivolge l'agire comunicativo che c'è attorno al gioco d'azzardo (sia esso legale che illegale promuove sempre un prodotto che basa il suo fine di guadagno sulle perdite economiche dei giocatori ma pubblicizza il contrario), ci sono le persone, i soggetti che vi partecipano e le loro famiglie. Il dottor Rino Finamore, referente per la Comunità Emmanuel e il Centro studi OmniaMentis di Miglionico che hanno organizzato sabato 19 febbraio un incontro a Ferrandina sul tema, ci ricorda che vi sono altri fattori – oltre al sogno di cambiare vita preso a prestito dalla pubblicità – che generano meccanismi di dipendenza. Il gioco può diventare un antidepressivo, può farci sconfiggere la solitudine, farci evadere dalla realtà abituale. Prima di arrivare a una vera e propria dipendenza ogni giocatore affronta delle fasi. All'inizio ci si sente “vincenti”, siamo forti. Poi arriva la fase “perdenti”. Quella del “mea culpa”, della menzogna in famiglia per coprire i debiti di gioco. Poi, la fase di “disperazione”. Il giocatore qui perde anche i soldi che è riuscito a farsi prestare da amici e parenti. Ricorre all'illegalità, all'usura per recuperare una parvenza di normalità ma nella maggioranza dei casi non ce la fa. Entra nella fase di “crollo emotivo” in cui senza il supporto psicologico necessario si arriva anche al suicidio. Alla dipendenza da gioco si aggiunge solitamente un'altra dipendenza, da alcool o droghe. Mariano, uno dei testimoni della Comunità Emmanuel, racconta come per stare dietro alle giocate notturne al Poker on-line è arrivato a farsi di cocaina per restare sveglio. La famiglia era diventata irrilevante. Uno dei sintomi psicologici della dipendenza da gioco è appunto la “distorsione della realtà” in termini di tempo, spazio, relazioni umane. E poi irritabilità, onnipotenza, superstizione, senso di colpa. E vi sono sintomi fisici come alterazione dell'alimentazione, insonnia, cefalea, ansia, alcolismo, tossicodipendenza. E sintomi sociologici: danni economici, lavorativi, morali, sulle relazioni parentali e amicali, sino all'esclusione sociale completa. Tra i campanelli d'allarme per capire questa malattia del Terzo Millennio, oltre al consumo eccessivo di denaro (soprattutto in termini di indebitamento, spesso da usura), la frequentazione assidua di luoghi ove presenti video-poker, macchinette, possibilità di giocate on-line, ecc. E ancora: la menzogna ai propri cari, l'assenteismo al lavoro, e lo “scarso rendimento scolastico”. E sì. Perché oggi la questione si pone purtroppo anche per i giovani. I dati del Censis, afferma il dott. Finamore, raccontano il decennio 1998-2008 come prolifico per il business del gioco d'azzardo legalizzato. In dieci anni è aumentato del 268 per cento. C'è da ribadire che nessun altro settore economico in Italia ha avuto questo trend positivo. Inoltre, altro dato importante, il 70 per cento degli utili è rinvestito dai giocatori negli stessi giochi.
Una ricerca nella città di Matera ha mostrato che il 45 per cento dei bambini tra i 9 e gli 11 anni conosce più di tre giochi d'azzardo, il 41 per cento di essi ha giocato almeno una volta al gratta e vinci. Di questi ultimi, il 22 per cento lo aveva ricevuto come “regalo di natale” da genitori o parenti. Un fenomeno sottovalutato quello di far passare a figli o nipoti il gratta e vinci come “dono”. Quale cultura del gioco d'azzardo ne nasce? Forse una risposta la troviamo nella stessa ricerca a campione ricordata dal dottor Finamore, da cui si rileva come a Matera il 64 per cento spende fino 10 euro al giorno di giocate, il 22 tra 10 e 100. Sempre nel materano una altra ricerca del 2009 metteva in evidenza come su un campione di 150  famiglie 30 fossero a rischio “dipendenza” da gioco. Come risolvere e sensibilizzare su una tematica così attaccata alle nostre vite quotidiane ma che sembra essere tenuta a distanza? Il dottor Finamore ricorda che anzitutto bisognerebbe fare in modo che il Sert riconosca la “dipendenza” da gioco, e dunque la identifichi come “patologia” da seguire. Non essendoci poi una regolamentazione unica in Italia, si dovrebbe agire localmente per far fronte a questo fenomeno oggi in crescita. In Basilicata per esempio, è in programma un fondo sociale per le famiglie in difficoltà.

Andrea Spartaco