Centro storico, potenzialità inespressa. Il cambiamento dipende da cittadini ed istituzioni

Le gite fuori porta fatte da molti di noi nel giorno di Pasquetta hanno permesso di ammirare alcuni, meravigliosi borghi e centri storici che fanno bella mostra di se in regione, o nella vicina Puglia. Ne abbiamo sicuramente osservato la bellezza (cosa sempre molto soggettiva), ma anche la cura, la pulizia e l’organizzazione di eventi ed attività più o meno interessanti: in sostanza, quasi ovunque c’è una discreta attenzione a mostrare quanto di meglio il territorio può offrire. Immagino che a molti di voi, come a me, sia sorta spontanea una domanda: perché il nostro centro storico, confrontato con i posti visitati, presenta totale incuria e abbandono? Come è possibile che in un tempo in cui tutta Italia fa la corsa alla rivalutazione dei borghi e centri storici, Pisticci perda completamente di vista una tale ricchezza, il centro storico appunto?
Pare che noi pisticcesi siamo stati colpiti da una strana sindrome, cioè quella di denigrare sempre e comunque tutto ciò che in questo paese può essere prodotto, nel centro storico in particolare. Sembra quasi che ci vergogniamo a dire che abbiamo un centro storico che può far invidia a molti di quelli visitati nel giorno di Pasquetta, e che pertanto è meglio denigrarlo, lasciarlo al suo destino, lasciarlo all’incuria del tempo perché “chi vuoi che ci venga se non c’è parcheggio?” (come se la gente che va a visitare qualunque centro storico immagina di parcheggiare nella piazza principale invece di fare due passi per le stradine). Trascurarlo, evitare di parlarne piuttosto che agire e provare a produrre qualcosa di buono come viene fatto ormai ovunque.
Trascuratezza, quella del centro storico, che coinvolge prima di tutto i singoli cittadini, incapaci molto spesso di rispettare la benché minima regola di decoro e rispetto del bene comune, per toccare tutti gli attori coinvolti nella gestione della cosa pubblica e degli enti correlati, i quali devono fornire ai cittadini gli indirizzi di gestione di una comunità.
In mancanza di alcun tipo di progettualità, ci si trova quindi a osservare edifici dipinti con i colori più disparati, quando basterebbe ridurre al minimo i colori utilizzabili (il primo il bianco, il secondo il bianco, il terzo magari il bianco) per mantenere un’uniformità che genera subito un bel colpo d’occhio. Oppure si preferisce fare gettate di asfalto anche in alcune stradine nelle quali una rivisitazione in chiave moderna della classica “rizz” risulterebbe essere molto più bella da vedere, e salutare durante i periodi di calura estiva. Per non parlare del patrimonio edilizio, sul quale ci si limita a dire “è tutto in vendita”, senza ipotizzare interventi organici che tendano a recuperare parte di questo patrimonio, evitando di cementificare altre zone del territorio che necessiterebbero di tutt’altro tipo di interventi.
Questo senza pensare ai famosi lavori di consolidamento, questi sì davvero necessari e non più procrastinabili in diversi punti dell’abitato (ma stavamo solo parlando della bellezza dei centri storici, non della loro esistenza più o meno futura).
Vorrei chiudere queste riflessioni parafrasando quanto detto qualche mese fa, in un incontro organizzato da alcuni volontari per la promozione delle nostre radici e tradizioni, in Chiesa Madre in occasione della ricorrenza della frana del rione Dirupo: il centro storico è come un anziano, e pertanto come un anziano va trattato, moltiplicando le cure e le attenzioni, prima che un po’ tutti ci troviamo a dover rimpiangere quanto non è stato fatto in tempo, e che sia troppo tardi.

Mino Storino

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