29Marzo2024

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Se il ‘mo basta’ si trasforma in ‘mo mo’. Si può ancora evitare la 'frana' della nostra comunità?

Quel giorno dello scorso ottobre in cui Marconia si allagò, vinta da uno straordinario nubifragio, lo stato d’animo delle persone gridava “mai più”. Sembrava che al primo momento buono sarebbero dovuti iniziare quei lavori infrastrutturali utili a reggere una portata d’acqua che, nella loro storica assenza, aveva appena cessato di causare quell’immane disastro. Si tornò a parlare di rete fognaria, notoriamente sottodimensionata. La popolazione pareva determinata a rivendicare l’urgenza di certi provvedimenti e sembravano determinate le istituzioni a trovare il modo di metterli il campo.
Ma l’eccezionalità del momento è durata il tempo del ritorno alla normalità, di qualche promessa e di una manciata di articoli, buoni a far da caffeina per una settimana. Poi è rimasto soltanto l’impegno dei pochi a tener viva la fiammella della rivendicazione. Non è bastato. Ad oggi nessun intervento risolutore, nessuna eccezionale stagione di lavori, da condurre con il bel tempo, per non farsi trovare impreparati ed esposti ai rischi di un nuovo autunno funesto, nessun risultato concreto. Ed è così anche per la viabilità soprattutto intorno al centro abitato di Marconia, clamorosamente compromessa e altrettanto clamorosamente abbandonata al suo destino, a cavallo fra l’azzardo tollerato (fino al prossimo incidente) e la metamorfosi delle strade in discariche a cielo aperto. Una vergogna, una piaga di fronte alla quale al massimo si balbettano soluzioni tecniche (telecamere) mai perseguite con convinzione.

Anche il giorno dopo l’eccezionale incendio dell’agosto 2012 lo stato d’animo della comunità e della sua politica non era tanto diverso. “Mai più”, “Mai più”. O se volete “Mo basta”, che poi racchiude la stessa speranza. Le fiamme avevano divorato gran parte della pineta piantata alle pendici di Pisticci, dalla Basentana alle Varre e fino quasi alla valle del Cavone. Un disastro che compromise anche la funzione mitigatrice dei fenomeni erosivi garantita dal bosco. Sembrava quasi che la piantumazione di nuovi alberi dovesse iniziare quando le fiamme ancora ardevano. Venne fuori un progetto comunale da 40 milioni di euro, pure pubblicizzato in un convegno. Poi le ceneri si raffreddarono come l’indice di priorità dell’emergenza-urgenza e ad oggi la questione è del tutto irrisolta. Il progetto resta lì, non finanziato, non attuato, nonostante, dicano, sia modulare, ovvero si potrebbe fare un po’ per volta. C’è di più: abbiamo dovuto segnalare fino alla noia con la nostra testata online il pericolo rappresentato da alcuni alberi secchi, che si affacciavano sul ciglio della strada, con il rischio di rovinare sulle auto. La rimozione è avvenuta tardi e male, se è vero che solo pochi giorni fa uno di questi alberi si è abbattuto sulla provinciale. Nessun incidente, per fortuna. Poteva andare peggio e può ancora andare peggio con gli alberi tuttora pendenti a ridosso dei guardrail. Non hanno fatto nemmeno la messa in sicurezza dei tronchi arsi, figuriamoci a quale livello di utopia corrisponda il pensiero di veder ripiantato un bosco. Ciò che è bruciato, è bruciato e chi s’è visto, s’è visto. Tutto dimenticato. Tutto archiviato.

Da alcuni giorni quello stato d’animo particolare, quel senso di rabbia che invoca soluzioni immediate e definitive, che trasuda la speranza di un vero cambiamento, è tornato ad aleggiare sulla comunità pisticcese, colpita da crolli minacciosi, che rischiano di avere conseguenze più ampie di quanto la fase acuta del fenomeno stia indicando. Non sappiamo se questa volta, davvero, non sarà come le altre. Certo i precedenti non sono incoraggianti. Sono recenti ed i non risultati sono sotto gli occhi di tutti. Chiedere altro tempo è un lusso che non ci possiamo permettere, lo impone l’oggettività delle urgenze. Piuttosto qualcuno, a proposito di tempo, ci dica perché, puntualmente, ai bei proclami nel caldo delle emergenze non riesce a far seguire azioni concrete. Non appaia come un poco elegante invito, ma in tutta onestà, fossi un amministratore di questo Comune, oggi sarei così frustrato da valutare seriamente l’ipotesi di passare la mano. Ma sono un cittadino ed ho il dovere di guardare a quello che fanno i cittadini. Ed a dire il vero fanno poco. Non partecipano, si disinteressano dei problemi più seri della comunità, sono individualisti, non sanno esercitare pressione sulle istituzioni, non controllano, spesso non denunciano e al massimo ti danno una pacca sulla spalla invitandoti ad andare avanti (proprio tu, caro cittadino che stai leggendo adesso, non il lettore che verrà dopo di te). Il problema di Marco Scerra non è un problema degli abitanti di Marco Scerra (e sarebbe già un successo che restino compatti e determinati). E’ assurdo che sia percepito così. Oggi dovremmo essere tutti abitanti di Marco Scerra, ma non lo siamo affatto. E così facendo abbiamo già perso, come abbiamo perso nel post alluvione di Marconia. Siamo gli stessi perdenti. Ci scivola tutto addosso e non facciamo niente. Perdiamo il territorio in cui viviamo, il valore economico delle case in cui investiamo, le prospettive di futuro per noi e per le prossime generazioni. Sono beni di valore così inestimabile che non possiamo ritenere logico continuare a delegarne i destini a chi ci amministra, che in parte è bloccato dalle difficoltà pur comprensibili di questi tempi così duri, in parte divide competenze e funzioni con organi sovraordinati sordi e assenti, in parte non brilla per spirito d’iniziativa e per efficacia dell’azione.

Il timore che tutto passi, di nuovo, anche questa volta, e che tutto resti immutato, ha purtroppo questo genere di fondamenti. Un amico transitato nella zona dei crolli mi confidava una strana sensazione: “Già sembra che questa storia si sia verificata 40 anni fa”. E non erano passate manco 40 ore.

Se nemmeno questo accadimento saprà dare una scossa vera alle istituzioni ed ai cittadini di questa comunità, Pisticci, il territorio di Pisticci, è destinato ad una inesorabile agonia fino a scomparire. E questo genere di tramonto non viene seguito da una nuova alba. A quel punto, per selezione naturale della nostra specie, declineremmo verso l’estinzione. E ce lo meriteremmo pure.

Roberto D'Alessandro