Basilicata regione più inquinata d'Italia in relazione agli abitanti
- Post 05 Ottobre 2017
Il dato generale, va nuovamente precisato, non è proprio attualissimo risalendo al 2013, anche se il report dell’Agenzia regionale è stato prodotto, come anticipato, a fine 2016: esso, in ogni caso, è certamente figlio anche delle numerose battaglie che sono state fatte in questo ultimo lustro da Maurizio Bolognetti, segretario dei Radicali lucani, il quale in diverse e reiterate occasioni, anche attraverso iniziative estreme come lo sciopero della fame, ha preteso che la Regione Basilicata si adeguasse alla normativa nazionale (decreto Ronchi prima e decreto legislativo 152-06, all’articolo 251, dopo), che prevedeva che all’interno del piano regionale dei rifiuti venisse effettuato il censimento e, per l’effetto, realizzata l’anagrafe dei siti da bonificare.
Oggi, dunque, anche se con dati del 2013, i lucani sono in grado di avere contezza della delicata situazione ambientale del nostro territorio, di quali sono e dove si trovano i siti potenzialmente contaminati, anche grazie alle battaglie portate avanti da Bolognetti. Siti che, è bene ricordarlo, non sono solo le aree di Tito e della Valbasento, cioè i cosiddetti Sin (Siti di interesse nazionale). Se, da un lato, tutto questo ha portato finalmente all’adempimento di un obbligo di legge da parte di via Anzio, dall’altro ha consentito ai cittadini di esercitare il diritto alla conoscenza, anche se solo a partire dalla fine del 2016. Sulla base dell’anagrafe, peraltro, l’Arpab ha elaborato anche una mappa, ancora in corso di aggiornamento, della quale diamo in seguitt un dettagliato riscontro. Al di là dei numeri dei siti contaminati (o potenzialmente inquinati), numeri invero preoccupanti per un territorio non vastissimo, va notato come la nostra sia una regione sempre più aggredita e condizionata da siffatte aree. Non ci sono, infatti, solo i due Sin, dove peraltro la situazione ambientale è molto preoccupante (e la bonifica è ancora molto lontana), ma anche numerosissime aree nelle quali il retaggio dell’industrializzazione selvaggia degli anni passati, quello dell’ondata più recente di insediamenti industriali, unitamente allo sfruttamento di gas e petrolio (specie quello della prima ora in Valbasento), ha prodotto un’eredità scomodissima, rappresentata, appunto, da numerosi siti potenzialmente inquinati e, dunque, pericolosi. Per tutti. Anche per chi oggi continua a far finta di niente ed a criminalizzare coloro che lottano per un ambiente più sano e per la verità che, a volte, resta una vera e propria chimera.
Tito è il centro in regione con il maggior numero di siti contaminati, ben 97, seguito da Ferrandina (75) e Pisticci (59). Lo si apprende dalla mappa dei siti contaminati pubblicato sul sito dell’Arpab, all’indirizzo http://rsdi.regione.basilicata.it/geoserver/www/bonifica/index.html, dove c’è la cartina della Basilicata suddivisa in vari colori, a seconda del numero dei siti presenti nel territorio comunale. I tre centri citati sono colorati di marrone scuro, essendo quelli ricadenti nella fascia con un numero di siti segnalati superiore a 50. Subito dopo c’è la fascia che comprende i comuni con un numero di siti segnalati da 18 a 49, dove troviamo Matera (21 siti), Salandra (19) e Potenza (18). Nella terza fascia, con numero di siti segnalati da 10 a 17, ci sono Viggiano (17 siti), Melfi (14) e Corleto Perticara (11).
“Oggi l’anagrafe dei siti da bonificare c’è, ma quasi nessuno se n’è accorto”. Maurizio Bolognetti non perde la verve polemica anche di fronte a quello che è un risultato ascrivibile, in gran parte, al suo lavoro. “Anni di lotta per chiedere che venisse onorato il diritto di tutti a poter conoscere per deliberare, ad iniziare dall’anagrafe dei siti da bonificare, mentre prima 30, poi 20 consiglieri regionali pensavano ad altro. Per me vale l’assioma convincere uguale vincere con. Dal 2010, più o meno, ho iniziato una lunga pressione sulla Regione affinché l’ente ad adempiere ad un obbligo di legge, quello della predisposizione dell’anagrafe dei siti da bonificare che si sarebbe tradotto, come si è tradotto, nel diritto di ciascuno di noi a sapere quali sono, quanti sono e dove si trovano i siti potenzialmente inquinati in regione”.
Insomma, ritardi e procedure non aggiornate. Che idea si è fatta? “Che spesso la verità porta problemi: a volte è meglio non far sapere. Ma tant’è. Quello che conta è che oggi il diritto di noi tutti a sapere possiamo finalmente esercitarlo, anche se l’anagrafe è parzialmente incompleta, potrebbe essere migliorata, resa più facilmente fruibile e aggiornata con maggiore frequenza. Abbiamo sanato una ferita inferta allo Stato di diritto, ma quello che mi lascia perplesso è che sembra quasi che questo risultato non interessi a nessuna parte politica. Eppure, il risultato è importante e, peraltro, è stato raggiunto a step. Non va infatti dimenticato che, prima dell’anagrafe, riuscimmo ad ottenere un primo risultato in termini di trasparenza: il catalogo ambientale, una sorta di primo avamposto del diritto alla conoscenza. Non ci siamo fermati e, nel silenzio generale, abbiamo proseguito la battaglia, arrivando, finalmente, a centrare l’obiettivo. Che – ha concluso il segretario dei Radicali lucani – non riguarda solo Bolognetti e i Radicali, ma l’intera popolazione della nostra regione”.
Piero Miolla
pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno