Il Coronavirus spaventa, ma non è l’unica pandemia che ci ha colpito

Il Coronavirus? Dio ce ne liberi! Le notizie di queste ore che ci giungono dall’ Oriente, non sono certo rassicuranti. In pochi giorni siamo passati dalle prime voci sulla scoperta ed esistenza di un nuovo virus che provoca influenza, al tentativo di isolare comunità di decine di milioni di persone con la chiusura di frontiere e linee aeree da e verso la Cina e paesi confinanti, fino a dichiarare lo stato di emergenza per 6 mesi. Una cosa seria quindi.
In Italia pochi casi accertati e altri sospetti (in Basilicata, per fortuna nessuno), ma non si nasconde la paura di trovarci di fronte a pandemie che già in passato hanno creato disastri, come la “Spagnola”, che ci toccò da vicino e che causò una pandemia globale tra il 1918 e 1919, facendo strage di centinaia di migliaia di persone.
Insomma, le notizie ormai di tutte le ore, provenienti dall’Oriente, non lo nascondiamo, danno più di una preoccupazione come del resto già si verificò col l’Aviaria nel 2005, auspicando comunque che il tutto si risolva in poco tempo e che il mondo venga liberato da questa iattura.
Ovviamente, la cosa ci riporta indietro di un secolo quando appunto si registrò un’altra influenza, abbastanza nefasta, che si chiamò appunto “Spagnola”.
La storia ci racconta che in Italia, il primo caso venne registrato in provincia di Vicenza, in piena zona di guerra ormai alle ultime battute; le vittime furono tra le 400 e le 500 mila a fronte di oltre 4 milioni di contagiati su una popolazione dell’epoca di 36 milioni di persone, con un tasso di mortalità altissimo, inferiore solo a quello della Russia.
Sempre per la storia, ricordiamo che la nostra regione non fu risparmiata dal terribile male che, sembra si sviluppò inizialmente nelle zone a cavallo tra la Basilicata e la Campania e che presto si diffuse nell’entroterra mietendo migliaia di vittime. Le scarse cronache dell’epoca e i racconti di chi aveva vissuto quel flagello, danno un quadro un po’ sbiadito di come venne vissuto quel periodo dalle nostre povere popolazioni. Una testimonianza diretta - chi scrive la ebbe dalla propria madre quando era in vita.

Nata alla fine dell’altro, altro secolo, quando aveva circa 25 anni registrò quella dolorosa esperienza che, anche in famiglia, fece una giovane vittima. Una sorella minore infatti, da poco sposata, fu colpita dal male, accusando in pochi giorni la presenza di macchie scure sugli arti superiori, sulle guance a alla spalla, e poi una difficile respirazione con febbre altissima e perdita della conoscenza, fino all’arrivo del decesso che, come per la maggior parte dei casi, giunse verso il tramonto.
Ma da noi come veniva curata la “Spagnola”? “Soprattutto a base di chinino, ma anche con salassi e bevande calde che aiutassero il corpo della persona colpita, a sudare, come ordinava e consigliava il medico, tale don Cristoforo Napoli, dalla comunità dell’epoca considerato un vero luminare. Maggiormente colpite dal male che mieteva vittime, soprattutto quelli in età giovanissima, tra i 20 e i 30 anni.
A Pisticci ogni giorno venivano registrati nuovi casi di contagio. Molti riuscivano a superare il male, ma altri, meno fortunati, morivano.
Dopo la benedizione della salma – sempre secondo il racconto materno -  molte volte di notte, in silenzio (il governo di Vittorio Emmanuele Orlando, per non demoralizzare l’opinione pubblica, aveva vietato i rintocchi funebri delle campane delle chiese e i funerali in corteo) venivano portati direttamente al cimitero comunale dove si provvedeva ad una affrettata tumulazione. Sempre secondo i racconti dell’epoca, gran parte della popolazione, per scampare al pericolo della epidemia, si rifugiava lontano dagli abitati, nelle campagne dell’agro; ma la cosa non funzionava sempre, dal momento che il virus della “Spagnola” non aveva confini e riusciva a colpire ovunque. Quel poco che si poteva fare da parte delle autorità, era il divieto degli assembramenti e l’ordine, dopo ogni decesso, di bruciare i vestiti e gli indumenti con cui la vittima era venuta a contatto. Precauzioni che sicuramente limitarono il numero delle persone colpite da quel tipo di influenza, che in città fece tantissime vittime (nessuno però è a conoscenza di una vera stima sui decessi da “Spagnola”).
Rito, quello della distruzione o bruciatura degli indumenti, a cui purtroppo, per ignoranza, fatalità, ma anche per superstizione, non tutti ottemperavano.
E’chiaro a questo punto, che ognuno di noi responsabilmente non deve mai abbassare la guardia, osservando tutte le regole, le precauzioni e le prevenzioni che ci vengono consigliate, auspicando comunque, che presto il tutto si risolva e il mondo venga liberato da questa iattura.

Michele Selvaggi

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