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“Costruire Valore" incontra Davide Lenzi, CEO di Bottonificio Lenzi 1955, azienda leader nel settore della moda nella produzione di bottoni in Italia e nel Mondo, per una lezione di visione di futuro da cucire con le mani e con la testa.
“Attaccar bottone”, oggi più che mai: è la chiave per cucire relazioni, scambiare idee e costruire il futuro.
Nel cuore dell’Appennino bolognese, in un piccolo paese che potrebbe sembrare lontano dai riflettori della moda internazionale, prende vita una storia fatta di passione, cura e visione. È la storia del Bottonificio Lenzi 1955, un’azienda familiare fondata proprio nel 1955 da Adelfo Lenzi: artigiano del bottone che, appena quattordicenne, iniziò a lavorare nel settore come dipendente, intraprendendo un percorso segnato da continua ricerca e desiderio di rinnovamento, senza mai perdere il legame con la tradizione.
Oggi l’azienda è guidata dai suoi figli, Davide e Luca, e realizza bottoni per alcuni tra i più prestigiosi marchi dell’alta moda italiana e internazionale: Louis Vuitton, Armani, Yves Saint Laurent, Cucinelli, Etro, Kiton, Woolrich… solo per citarne alcuni. Brand che, stagione dopo stagione, scelgono la qualità, la creatività e l’affidabilità di questa realtà artigianale.
Ma ridurre tutto a una semplice “fabbrica di bottoni” sarebbe riduttivo. Quella della famiglia Lenzi è una vera e propria impresa del saper fare, capace di fondere tradizione e innovazione, manualità e tecnologia, design e visione, rimanendo fedele ai valori del lavoro ben fatto e della dignità artigiana.
Con Davide Lenzi ho il piacere di condividere non solo un rapporto professionale e di amicizia, ma anche uno scambio umano e progettuale continuo su materiale, innovazione, ricerca e sviluppo, export. Da questo confronto nasce l’intervista che segue: una conversazione autentica, radicata nel territorio, ma proiettata verso il futuro. Un racconto che parla di bottoni, sì… ma cuce insieme valori, visione e talento.
Intervista a Davide Lenzi
Sì, assolutamente. La passione è stata la scintilla, ma è il rispetto per il lavoro ben fatto che ci ha fatto durare. Mio padre diceva sempre che anche un bottone merita la stessa attenzione che si mette in un abito. È questo spirito che ci ha guidato: il desiderio di creare cose belle, funzionali, che durino nel tempo e che raccontino qualcosa. Non abbiamo mai rincorso le mode; abbiamo sempre cercato l’essenza. E quando costruisci con pazienza, onestà e coerenza, le soddisfazioni arrivano.
Conta più di tutto. Il mondo oggi cambia troppo in fretta per pensare che basti un titolo. Ci vuole cuore, visione, spirito critico. La passione ti dà la forza di non mollare, di migliorarti ogni giorno, di accettare anche l’imperfezione se serve a crescere. Chi lavora con passione si riconosce: ha negli occhi quella luce in più, che nessuna qualifica può insegnare. E in azienda, credimi, quella luce fa la differenza.
Studiare è importante, ma lo è anche conoscere se stessi. Se senti di avere una vocazione manuale, tecnica, creativa… seguila. Non esistono percorsi giusti o sbagliati. Esiste ciò che ti fa sentire vivo. L’importante è coltivare la cultura, anche fuori dall’università: leggere, osservare, capire il mondo. E poi imparare a fare. Il fare è dignità. È bellezza. È libertà. Non deve mai essere considerato di serie B.
La creatività è come l’aria: non si vede, ma se manca lo senti. Un bottone è piccolo, sì, ma può cambiare il carattere di un capo. Noi interpretiamo stili, materiali, linguaggi. La vera creatività non è solo inventare qualcosa di nuovo, ma trovare l’anima delle cose semplici. In ogni bottone ci deve essere equilibrio tra utilità, estetica e rispetto per l’ambiente. Questo per noi è il vero lusso: fare poco, ma farlo bene.
Serve una forma di artigianato colto. Un bottone riesce quando è invisibile ma essenziale. Dietro c’è tecnica, sì, ma anche cultura del bello, proporzione, materiali veri. Serve sensibilità, non solo competenza. Un bottone fatto bene è quello che non ti accorgi di avere, ma che rende l’abito completo. Il successo sta lì: nella discrezione che lascia il segno.
La tradizione non è nostalgia, è responsabilità. Le nostre macchine evolvono, ma il modo in cui osserviamo un pezzo, controlliamo una superficie, ascoltiamo il cliente… quello resta umano. L’innovazione vera non è solo nei materiali, ma nell’etica. Ci chiediamo sempre: stiamo migliorando? Stiamo rispettando? Questo vale per la tecnologia e per le relazioni.
Dovrebbe aprirsi al mondo reale. Portare i ragazzi in azienda, nelle botteghe, nei laboratori. Fargli vedere che il lavoro non è solo fatica, ma anche espressione, bellezza, relazione. I ragazzi devono toccare con mano. Devono sapere che anche un bottone, se fatto con amore, ha un valore. E che si può costruire un futuro anche partendo da un piccolo paese, se c'è talento e visione.
Direi: non abbiate fretta di scegliere, ma non abbiate paura di provarci. Il futuro si costruisce sbagliando, cadendo e rialzandosi. Cercate quello che vi fa venire voglia di alzarvi la mattina. Nessun lavoro è umile se fatto con dignità. E la bellezza non è solo nelle grandi cose: è nei dettagli, negli occhi di chi ci crede.
Imparano che il tempo ha un valore. Che il lavoro non è solo un mezzo per guadagnare, ma un modo per sentirsi parte di qualcosa. Imparano a rispettare le cose piccole, a osservare, a non avere fretta. E forse imparano anche che si può fare impresa senza perdere umanità. Questa per me è la lezione più grande.
Il segreto è semplice: ascoltare. Essere coerenti. Mantenere le promesse. E sorprendere, ogni tanto. Chi lavora con noi sa che non offriamo solo un prodotto, ma anche uno sguardo. Un’idea. Una presenza discreta ma solida. Il lusso oggi è sapere di poter contare su qualcuno. E noi vogliamo essere quel qualcuno.
Servono luoghi dove sentirsi visti. Aziende che non ti chiedano solo cosa sai fare, ma chi sei. Serve creare comunità, non solo occupazione. Se un giovane trova senso, autonomia e dignità nel proprio territorio, non se ne va. E se va via, sa che può tornare. Ma serve crederci insieme: imprenditori, scuole, istituzioni.
L’intervista a Davide Lenzi ci racconta molto più di un’impresa artigiana che lavora per l’alta moda. È la storia di un’Italia che innova e crea bellezza a partire dalle cose semplici, con cura, cultura e passione. Un bottone, nelle sue parole, diventa simbolo di equilibrio tra arte e tecnica, tra tradizione e innovazione, tra mano e mente.
Ma soprattutto, emerge una visione profonda del lavoro: come atto umano ed educativo. Un lavoro può insegnare più di un libro, se accompagnato da rispetto, fiducia e responsabilità.
Un messaggio chiaro arriva anche alle istituzioni scolastiche: scuola e impresa devono viaggiare alla stessa velocità. Non possiamo preparare i giovani per un mondo che cambia ogni sei mesi con programmi fermi da anni. Non solo per formare competenze, ma per generare futuro. E per farlo, bisogna che in azienda ci vadano non solo gli studenti, ma anche gli insegnanti. Per capire, per toccare, per aggiornarsi.
Questa storia, nata in un piccolo paese dell’Appennino bolognese, ci dimostra che il talento può fiorire ovunque. Basta crederci, coltivarlo con pazienza e visione…
Oggi servono ragazzi capaci di “attaccare bottone”, nel senso più ampio e profondo del termine: con il lavoro, con gli altri, con la propria comunità.
E allora, quante cose ci possono stare in un centimetro e mezzo? Tutte quelle che servono per raccontare una storia: di mani, di occhi, di passione. Un bottone, se fatto bene, può viaggiare ovunque e parlare l’italiano della bellezza. Ma soprattutto può insegnare ai giovani che il futuro si costruisce con cura, visione, ambizione e l’orgoglio di fare bene anche le cose più piccole.
Rubrica “Costruire Valore” a cura del Dott. Lino Pasquale Maurella