Si è concluso con uno sconto di pena di 10 mesi il processo d'Appello a carico del 20 enne di Marconia (all'epoca dei fatti minorenne) accusato dell'omicidio premeditato di Matteo Barbalinardo.
Se in primo grado la condanna impartita fu di 18 anni e sei mesi di reclusione, si passa adesso a 17 anni ed 8 mesi. La Corte, presieduta da Patrizia Sinisi, ha accolto solo in minima parte quanto sollevato dalla difesa dell'imputato, assistito dall'avvocato Massimo Maria Molinari, che aveva fatto cenno anche a problemi mentali del suo assistito.
I fatti avvennero il 18 maggio 2017, in una palazzina in costruzione su via Duca D’Aosta a Marconia di Pisticci. L’arresto dell’omicida fu effettuato dopo quasi una settimana di silenzio e un alacre lavoro degli inquirenti, tra fonti di prova e testimonianze.
La sentenza di primo grado fu molto pesante, considerato lo “sconto” di un terzo della pena per il ricorso al rito abbreviato, chiesto e ottenuto dalla difesa del giovane. L'Appello conferma in buona sostanza il quadro accusatorio e rigetta in pratica le tesi difensive. Soddisfatti del recente pronunciamento gli avvocati della famiglia Barbalinardo Amedeo e Roberto Cataldo: "Siamo soddisfatti del lavoro svolto, sono state accolte le tesi da noi prospettate e sostenute. La pena, ancorchè severa, appare commisurata alla gravità del fatto. Attendiamo l'irrevocabilità della sentenza".
A svelare il movente dell’accaduto agli inquirenti, e ai periti incaricati dal Tribunale - riporta Il Quotidiano del Sud -, era stata una foto dell’imputato sulla scena del crimine col pollice alzato, e gli abiti ancora sporchi di sangue. Ma soprattutto la registrazione scoperta nel telefonino dell’imputato, che ha sempre negato di aver voluto documentare in quel modo il gesto compiuto e gli ultimi istanti di vita della sua vittima.
Eppure non è stato giudicato credibile quando ha ipotizzato che il registratore si fosse acceso per errore.
All’interno di quell’audio della durata di qualche minuto, infatti, si sentirebbe una specie di interrogatorio al giovane Barbalinardo, a cui l’imputato, volontario in un’associazione di protezione civile, fa credere di aver già chiamato un’ambulanza che a momenti sarebbe arrivata a soccorrerlo. Per poi chiedergli del ruolo di altri coetanei coinvolti nello spaccio di stupefacenti e rimproverargli i danni provocati dalla droga.