26Aprile2024

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Cia Basilicata: "Per sagre ed eventi affidarsi a consorzi di prodotti"

In una regione come la Basilicata che può vantare 77 prodotti agroalimentari tradizionali inclusi nell'ultimo elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali realizzato a giugno 2013 dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali è evidente che le sagre hanno un significato particolare.

Di fronte però alle notizie diffuse sui finanziamenti "a pioggia" e in molti casi "disinvolti" assegnati è altrettanto evidente che si pone un problema di selezionare gli eventi evitando il loro proliferare e comunque di finanziare iniziative-manifestazioni meramente commerciali. Lo strumento della selezione è di facile individuazione: si tratta di affidare ai Consorzi-comitati di prodotto riconosciuti a livello istituzionale la titolarità della sagra in grado di coinvolgere i veri produttori.
E' questa la posizione della Cia lucana che evidenzia come per la Basilicata ci sono sei tipologie: bevande alcoliche e distillati, con un solo prodotto (liquore di sambuco di Chiaromonte); carni (e frattaglie) fresche e loro preparazione, con 14 prodotti (il più noto è l'agnello delle Dolomiti Lucane); i formaggi con 13 prodotti (tra cui caciocavallo, pecorino, casieddo); prodotti vegetali allo stato naturale o trasformati con 21 prodotti (dalle varietà di fagiolo al rafano); pasta fresche e prodotti della panetteria, biscotteria, pasticceria e confetteria con 23 prodotti (dalla strazzata all'ultimo ingresso u' pastizz rtunnar); prodotti di origine animale (miele, prodotti lattiero-caseari di vario tipo escluso il burro), con 4 prodotti (tra cui il miele lucano).
Dunque non dovrebbe essere difficile identificare le vere sagre da altro. La produzione di prodotti tipici – sottolinea Antonio Nisi, presidente della Cia - è importante per le varie zone della Basilicata perché è anche fattore di comunicazione della cultura e del paesaggio in cui questi sono inseriti. Per questo motivo dobbiamo lavorare per innalzare la qualità dei prodotti tipici che calati nel contesto degli agriturismi, alberghi, borghi albergo, ristoranti, musei della civiltà contadina, artigiani, commercianti consentono di proporre l'intero territorio, dando così vita ad una nuova filiera agricoltura-turismo-ambiente-cultura.

L'obiettivo centrale è quello di accrescere la fruibilità del territorio e le opportunità occupazionali dei territori rurali attraverso lo sviluppo e il sostegno di attività non tradizionalmente agricole. Per la Cia non è più rinviabile l'istituzione di una una società – l'Agripromo – per favorire la promozione e la commercializzazione dei prodotti che hanno ottenuto o che stanno per ottenere i marchi Dop, Igp e Stg, e per allargare la "rete" dei marchi a livello comunale e territoriale, specie in attuazione del recente protocollo "Res Tipica" tra Cia ed Anci. C'è poi da contrastare efficacemente l'agripirateria: una "rapina" da 7 milioni di euro l'ora e da 60 miliardi di euro l'anno, di cui alcune centinaia di milioni di euro solo in Basilicata. A tanto ammonta – per la Cia - il business dell'agropirateria, della contraffazione, della frode nei confronti dell'agroalimentare "made in Italy", il più clonato nel mondo. Si tratta di un vero e proprio "scippo" ai danni del settore, un assalto indiscriminato e senza tregua, dove la criminalità organizzata fa veri affari. I consumatori vengono truffati, gli agricoltori e gli industriali dell'agroalimentare derubati. A questo si aggiunge il fatto che ogni anno entrano nel nostro Paese prodotti alimentari "clandestini" e "pericolosi" per oltre 2 miliardi di euro. Poco meno del 5 per cento della produzione agricola nazionale. I sequestri da parte delle autorità competenti italiane negli ultimi due anni si sono più che quadruplicati. E ciò significa che i controlli funzionano, ma il pericolo di portare a tavola cibi "a rischio" e a prezzi "stracciati" è sempre più incombente. Da noi, insieme alla fragola del Metapontino "taroccata" in Spagna, sono vittime di agropirateria numerosi prodotti tipici lucani come il caciocavallo, il pecorino di Moliterno, i salumi di Picerno, l'aglianico del Vulture, l'olio delle colline del Materano, la farina di grano duro "senatore" del Materano, il peperone di Senise.
"La situazione – osserva la Cia lucana – è di estrema gravità. Ci troviamo di fronte a un immenso supermarket dell'agro-scorretto, del 'bidone alimentare', dove a pagare è solo il nostro Paese. E il danno, purtroppo, è destinato a crescere, visto che a livello mondiale ancora non esiste una vera tutela delle nostre 'eccellenze' Dop, Igp e Stg".
"Di fronte a questa 'rapina' giornaliera – continua la Cia – bisogna dire basta. Ma per mettere un freno al fenomeno dell'italian sounding e all'agropirateria globalizzata servono misure reali ed efficaci. Ecco perché ora bisogna fare qualcosa di più: il "made in Italy" agroalimentare è un settore economicamente strategico -osserva la Cia- oltre a rappresentare un patrimonio culturale e culinario che è l'immagine stessa dell'Italia fuori dai confini nazionali. Adesso servono misure "ad hoc" come l'istituzione di una task-force in ambito Ue per contrastare truffe e falsificazioni alimentari; sanzioni più severe contro chiunque imiti prodotti a denominazione d'origine; un'azione più decisa da parte dell'Europa nel negoziato Wto per un'effettiva difesa delle certificazioni Ue; interventi finanziari, sia a livello nazionale che comunitario, per l'assistenza legale a chi promuove cause (in particolare ai consorzi di tutela) contro chi falsifica prodotti alimentari. Per questo non c'e' piu' tempo da perdere, ora bisogna usare ''tolleranza zero'' nei confronti degli autori delle truffe e degli inganni a tavola''.