02Maggio2024

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La chiesa di San Rocco dal restauro alla riapertura al culto

“Collaborazione tra i vari enti istituzionali e persino tra le persone, ognuno con il proprio contributo economico oltre che di incoraggiamento”; questo, in estrema sintesi, ciò che è emerso dall’intervento iniziale di don Rocco Rosano che ha invitato tutti ad affrontare i problemi e a non demandare ad altri ciò che possiamo e sappiamo fare. Il parroco ha insistito sulla partecipazione attiva di tutti per riaprire al culto ed in tempi brevi la chiesa di San Rocco.
Don Michele Leone, sulla medesima “lunghezza d’onda”, ha parlato concretamente di quanto l’Arcidiocesi di Matera – Irsina ha fatto attraverso l’impegno diretto dell’Arcivescovo Monsignore Ligorio. In qualità di responsabile dell’Ufficio Tecnico Diocesano, don Michele ha ricordato che nel 2005 la C.E.I., esaminato il progetto di consolidamento, restauro architettonico e adeguamento liturgico, ha inviato una somma cospicua di circa 300.000 euro (50% della somma richiesta) che tuttavia non è sufficiente a risolvere i problemi del monumento. I dissesti causati dal campanile, ovvero quelli intrinseci al monumento, sono affrontabili dall’Arcidiocesi ma non lo sono quelli di natura idrogeologica che, oltre tutto, non interessano solo il San Rocco ma l’ampia zona ai piedi della collina del rione Marco Scerra. Don Michele ha più volte ribadito che l’Arcidiocesi potrebbe iniziare i lavori anche subito (in questi anni sono stati acquisiti i pareri dai vari enti preposti) ma non intende farlo perché sa bene che per riaprire al culto la chiesa occorrono somme che vanno ben oltre quelle stanziate e sa bene che senza la soluzione dei dissesti idrogeologici i problemi rimarrebbero in tutta la loro gravità. A questo punto don Michele non ha esitato a invitare il sindaco Vito Di Trani e l’assessore Francesco D’Onofrio del Comune di Pisticci a continuare nell’azione presso Regione Basilicata e vari Ministeri per reperire altri fondi da aggiungere a quelli prima detti. Don Michele, che per molti anni si è interessato di Beni Culturali e Nuova Edilizia di Culto presso la C.E.I., ha sottolineato che l’importanza culturale del monumento all’interno della vasta produzione degli anni ’20 e ’30 del Novecento, impone una particolare attenzione.
Proprio su queste affermazioni, l’architetto Renato D’Onofrio che insieme all’ingegnere Dario De Luca ha elaborato il progetto di consolidamento strutturale e restauro architettonico, ha iniziato il proprio intervento mostrando aspetti inediti: la “proporzione aurea” che sottende le scelte compositive in pianta e in alzato. L’architetto, che ha elaborato questa ricerca con i propri collaboratori ingegnere Raffaele Marra e geometra Giovanbattista Castellucci, ha fatto vedere i rettangoli aurei con cui sono state composte tutte le parti della chiesa, dal pavimento ai fornici del nartéce, dagli archi delle “navatelle” al campanile fino alla nicchia di San Rocco che, in particolare, è ascrivibile tra gli “archi littori” per via del rapporto 1:6 tra larghezza e altezza dell’imposta. L’architetto ha continuato con l’analisi dei dissesti  e la “rototraslazione” cui la chiesa è soggetta da decenni. Inoltre ha chiarito tanto i dissesti dovuti al peso del campanile quanto quelli di natura idrogeologica. Ha fatto riflettere come il campanile, pur cedendo di pochissimo in verticale, ha causato le due “famiglie” di lesioni lungo la parete di Corso Margherita e il muro dell’abside fino a interessare la parete di ingresso e il pavimento in direzione longitudinale. Ha quindi chiarito i problemi dovuti alle infiltrazioni di acque dal terreno retrostante: le acque meteoriche di superficie e quelle di falda, infiltrandosi lungo le pareti a tergo dell’altare, giungono nel terreno fondale. Qui le argille, imbibendosi di acqua, si ingrossano determinando spinte verso l’alto e successivamente, asciugandosi durante l’estate, si ritirano innescando un dinamismo inverso alle strutture. Mentre l’azione destabilizzante del campanile, sebbene assolutamente inquietante, si potrebbe considerare esaurita dopo 80 anni, quella idrogeologica non lo è perché l’acqua continua a scendere e i muri contro terra della chiesa continuano a fratturarsi e deformarsi  fino a “spanciarsi”; questa azione dinamica che ha rotto le “catene” di mattoni tra la struttura precedente e quella di Lapadula,  è assolutamente attiva come dimostrano i “vetrini rotti” sui muri e le fratture del piccolo locale in via Duilio che sormonta il ripostiglio a tergo dell’abside. Viene da chiedersi cosa accadrebbe in caso di piogge prolungate o in caso di terremoto. Senza farsi prendere dal panico, secondo l’architetto nel primo caso i muri dietro l’altare potrebbero essere sfondati dall’azione del fango causando all’interno della chiesa la rottura della parete absidale con conseguenze che è facile immaginare; nel secondo caso, tanto i muri fratturati della chiesa quanto quelli contro terra, proprio a causa delle numerose discontinuità, potrebbero crollare tirandosi anche la copertura. In ogni caso le azioni destabilizzanti, proprio perché combinate, potrebbero essere altamente pericolose per la incolumità pubblica. L’architetto ha quindi fatto vedere le opere di consolidamento strutturale con micropali e tiranti al di sotto del campanile, il consolidamento dei muri a tergo dell’abside, il collegamento delle fondazioni dei pilastri con travi. In seguito si è soffermato sia sul sistema di raccolta delle acque di superficie che vede l’impiego di un pozzetto da cui portare le acque in direzione controllata, sia  il sistema idraulico per raccogliere le acque di falda al di sotto della chiesa tenendole distanti dal terreno di fondazione.  In conclusione l’architetto ha fatto vedere il restauro architettonico delle murature, del pavimento, dei paliotti lungo le due “navatelle”, ecc. e ha fatto riflettere sul particolare tipo di restauro che, nel rispetto dell’opera di Lapadula, non deve alterare i materiali, non deve modificare la luce naturale né i rapporti dimensionali per non cancellare le proporzioni auree  di cui si è detto.  Infine,  facendo vedere le slide dell’adeguamento liturgico del presbiterio, ha fatto riflettere sulla ricerca del linguaggio adottato che, interpretando quello Novecentista di Lapadula, ha proposto il simbolismo della tradizione cristiano – cattolica.
Il sindaco Di Trani ha iniziato l’intervento conclusivo partendo dalla pericolosità dei dissesti soprattutto in caso di sisma prendendo spunto dalle affermazioni dell’architetto Renato D’Onofrio, affermazioni che evidentemente, giustificano la decisione di chiusura al culto della chiesa. Il sindaco ha condiviso totalmente le posizioni di don Rocco e don Michele e ha ribadito il suo personale impegno e della Giunta che presiede a reperire i fondi necessari per iniziare e concludere i lavori nel migliore dei modi. Nel suo intervento, il sindaco Di Trani non ha mai scisso la chiesa dal rione Marco Scerra perché sa bene che le problematiche sono strettamente correlate. Ha approfittato per ribadire ai pisticcesi di avere fiducia e per esortare tutti a un maggiore impegno civile per affrontare e risolvere i vari problemi che il territorio ha, da quelli dell’ospedale a quelli del tribunale, dai problemi di inquinamento ambientale della Valbasento  a quello del rilancio turistico della marina di Pisticci. Il sindaco ha invitato tutti a essere uniti e a non creare inutili divisioni che giovano solo a quanti vengono nel nostro territorio a fare incetta di voti durante le campagne elettorali. Segni di partecipazione attiva, sono stati i numerosi capannelli di gente formatisi intorno ai relatori in una serata di sano impegno civile oltre che culturale.